Magna Grecia, percezioni, identità, realtà

David Alberto Murolo, originario di Reggio Calabria, ha ricoperto diversi e importanti ruoli per la nascita e lo sviluppo di aziende innovative, nella creazione di contenuti e tecnologie multimediali, nei settori dell’arte e degli audiovisivi, finalizzati alla promozione dei beni culturali.

Appassionato di musica, arte e letteratura odeporica, coltiva la sua passione per il Mediterraneo, anche attraverso progetti culturali e artistici internazionali, rivolti soprattutto alla rigenerazione sociale, urbana e paesaggistica.

Ci incontriamo ad Atene al Museo Archeologico e ci aggiriamo nelle sale, tra bellezze antiche che sono archetipi della mente, meraviglie ferme nel tempo e senza tempo, che costituiscono parte del nostro bagaglio culturale e identitario.

Tra tanta Arte, Storia e Bellezza, immediato è il rimando al Museo Archeologico di Reggio Calabria con i suoi inestimabili reperti ed i grandiosi Bronzi di Riace; al sito archeologico di Locri Epizephiri e alla Magna Grecia, “Itala nam tellus Graecia maior erat”, come recitava Ovidio (43 ac/17-18 dc) nei suoi Fasti, opera rimasta incompiuta.

David: esiste ancora la Magna Grecia? O è solo un rimpianto, un modo di rimanere attaccati a un lontanissimo passato glorioso? E’ un po’ tipico di noi italiani sentirsi “orfani” dei grandi periodi della propria storia dalla Magna Grecia, dall’antica Roma, al Rinascimento…

La Magna Grecia non è un’eco della storia, ma la concreta, viva e costante espressione delle nostre relazioni di appartenenza coi luoghi e le persone, con un certo senso del tempo e del paesaggio e con la lingua, con cui definiamo gran parte di ciò che ci circonda.

Ho trascorso un lungo periodo della mia infanzia a Scilla e posso assicurarti che il mito è vero perché ne conosco la bellezza e il pericolo…

Come quando Eolo soffia sulle onde che vanno a frangersi nell’antro dai denti aguzzi e lo scipho deve riparare nei catoi, quando Cariddi beve i due mari e quando è il momento di passaggio dello xifia. E ancora, trovarsi con amici dall’antico cognome greco in escursioni nell’Aspromonte, da Pentidattilo all’AmendoleaChorio e Vua e in altri cento luoghi dell’area basiliana jonica e poi, da Gerace attraverso lo Sciarapotamo fino ad AnoiaGalatro, e la costa da Nicotera, a PanaiaParghelia, gustando cerasiportucalli, frauli, pite, cudduraci, musulupa, nacatole, per scoprire mille segni del sacro e del mito, fusi nelle tradizioni religiose e popolari.

Insomma, non si tratta di un recupero nostalgico di vetuste glorie, ma di una esperienza visibile e concreta, di un logos palpabile.

Accademia di Atene, Foto di David Murolo

Facciamo un gioco: ti dico tre parole e tu mi dici che cosa ti ispirano rispetto alla Magna Grecia, al suo mito, all’oggi. Prima parola: appartenenza…

Un caro amico e raffinato regista d’animazione, Simone Massi, nel suo cortometraggio “Io so chi sono”, esprime con grande efficacia immaginativa il senso della parola appartenenza, quel centro di gravità permanente del nostro essere, della consapevolezza dell’esistere in rapporto agli altri.

Io so bene chi sono a partire dal punto geografico in cui sono nato, alla punta estrema d’Italia, in un crocevia di mari e culture, con alle spalle montagne alte e ripide e davanti tutte le possibili rotte per raggiungere rive, luoghi e civiltà di cui sono l’erede.

La memoria e il radicamento ai luoghi e alla famiglia, l’assimilazione del dolore e dei momenti drammatici che sfocia nel simbolico, l’uso di una fantasiosa ironia a stemperare gli accesi contrasti, la resistenza alle avversità attraverso la fede, la creatività e la metafora sono i caratteri salienti e l’attitudine di chi nasce nel meridione. Allo stesso modo in cui si appartiene e ci si adatta ad un paesaggio mutevole e incantevole, disordinato, abusato, rigoglioso e desolato.

Nelle “Indie di quaggiù”, come da citazione delle missioni dei Gesuiti nel sud Italia del XV sec, esistono e resistono ancora luoghi perduti, necessari alla fuga nell’anima, sopravvivono pietanze, arti e architetture come somma di civiltà accatastate le une sulle altre. Una geografia dei luoghi e del cuore che tratteggia uno stile di vita, un’identità collettiva, centrata su un proprio senso del tempo e della sua interpretazione.

L’appartenenza è legata all’immaginario. Come se, David, tu avessi indovinato la seconda parola del gioco: l’immaginario…

Il tempo dilatato, assaporato, quel tempo buono per la riflessione, l’astrazione, il godimento della bellezza come sublimazione dell’anima; quel riconoscimento etno identitario, affondato in un humus commisto di storia, cultura e mitologia, che avrebbe dovuto accomunare l’intero Popolo di “santi, poeti e navigatori”, nel momento dell’Unità d’Italia, che coincise con la seconda rivoluzione industriale, intrappolò invece le regioni del Sud, in un pregiudizio di arretratezza socio culturale che, ancora oggi, a partire dalla iniqua distribuzione delle risorse economiche, stringe la Magna-Grecia nelle sue spire.

La corsa, prima all’industrializzazione, con un sentimento imperante di totale fiducia nel progresso, decantato dalle avanguardie culturali europee, per il valore assoluto di velocità e dinamismo che ne scaturiva, fino alla globalizzazione e al nuovo mito di una “Milano da bere”, ha finito col relegare la grande culla della civiltà magno-greca, serbatoio inesauribile del pensiero critico e di raffinatezza artistica, all’immaginario di un profondo sud, povero e arretrato.

La ritrosia e l’orgoglio di una comunità che aveva fatto la storia, nel non volersi disciogliere nelle acque opache di un livellamento sociale, la sua determinazione nel non voler dismettere un prezioso orologio di famiglia che segnava un tempo interiore, piuttosto che quello di una fabbrica, è stato scambiato e barattato con un complesso d’inferiorità della civiltà contadina meridionale, perfettamente inquadrato nelle inchieste di Carlo Levi, Pier Paolo Pasolini e Giuseppe Berto.

Un sentimento di sottovalutazione della propria identità agricola e rurale sviluppatosi e consolidatosi a fine Ottocento, parallelamente al più deleterio male storico contemporaneo e per tutti i suoi corollari, la mafia.

Da qui la convinzione, sempre più radicata nel popolo meridionale, che tutto ciò che rappresentava quella civiltà inferiore – arti, saperi, architetture, storie, paesaggi – non avesse valore e fosse del tutto inutile. Pertanto, gli abitanti di terre un tempo mirabili per i fasti architettonici e bellezze naturali, hanno volontariamente lasciato smarrire la propria memoria storica e territoriale, autoconvincendosi ormai di essere “razza inferiore, negletta, criminale per nascita”. Sobillati da classi dirigenti, ancorate a vecchi retaggi feudali, i meridionali hanno svenduto il proprio patrimonio insieme alla loro dignità con il beneplacito di una politica, mai realmente impegnata per il bene complessivo del Paese.

Quindi il “percepito” di chi in Magna Grecia ci abita è fatto anche di un senso di “inferiorità” …

Oggi qualcosa inizia a cambiare nel rappresentare l’orgoglio di appartenenza al territorio ma non dimentichiamoci che per più di un secolo quel senso di colpa e di inferiorità, alimentato dai media, è stato a tal punto annichilente, da far percepire il Sud Italia, con tutte le sue tradizioni, memorie e geografie, pesantemente a rimorchio di un’Italia produttiva, snella e brillantemente lanciata in direzione di quel rigoglioso futuro che oggi è sotto gli occhi di tutti.

La fervida attività intellettuale, nel frattempo, è stata il naturale e più efficace antidoto all’impoverimento socio-culturale del meridione e la sua migliore difesa contro le mafie ed i pregiudizi.

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Campagna di Anoia, Foto di David Murolo

Non pensi che questo misconoscimento nasca dal non sapere?

Bisogna avere la consapevolezza che intere generazioni di giovani studenti sono stati formati su testi e storie che certamente hanno infuso la consapevolezza dell’immenso patrimonio culturale italiano, ma, per colpa di questa impostazione colonialista, sono stati in qualche modo alienati dai luoghi di appartenenza e privati del racconto di quella loro bellezza.

Molti non conoscono davvero l’immensa ricchezza artistica che deteniamo in territori percorsi e raccontati nei secoli da geografi greci, romani, arabi, da artisti, poeti, monaci bizantini e nei racconti dei viaggiatori del Grand tour…

Quanti di noi, ad esempio, hanno studiato o studiano come testi d’obbligo scolastico, i lirici della Magna Grecia e le opere della scuola poetica siciliana? così anche Cassiodoro, De Roberto, D’Arrigo, Gioacchino da Fiore, Campanella, Telesio, Vico, Bruno, Basile, Morra, Alvaro, Perri, La Cava, Strati, Seminara, Repaci, Costabile, Scotellaro, Pierro, Buttitta, per citare quelli a me più cari.

Salonicco, foto di David Murolo

Ti affido la terza parola del gioco: alienazione.

Dietro le brutture di un’urbanizzazione scellerata, che ha vilipeso la meraviglia vergine dei luoghi, floridi di verde e trionfali di cobalto, dietro il saccheggio avido di una consolidata imprenditoria predona, dietro il depauperamento di significative risorse locali e l’offuscamento dei tratti tipicamente caratterizzanti di luoghi e anime, il cuore nobile, appassionato della più sofisticata e, contemporaneamente, primitiva e carnale cultura magno-greca, non ha mai smesso di battere. Un cuore vividissimo che ha una sua velocità specifica, per quel principio fondativo di koinè mediterranea, che è possibile rintracciare in meravigliose opere saggistiche di Braudel, Camus, Matvejevic, De Martino, Cassano e nelle opere cinematografiche di De seta, Di Gianni, Amelio.

In Magna Grecia, ne parlo al presente, infatti, il recupero di elementi ancestrali e spirituali, nelle tradizioni sopravvissute, soprattutto nella musica, nelle danze e componimenti, è ancor oggi la chiave perfetta per accedere e comprendere profondamente l’anima dei luoghi.

Conoscere, analizzare e comprendere le ragioni profonde dei mali del Sud e delle sponde meridiane, per chi ci osserva da altre latitudini, ma anche per chi al Sud ci è nato e ci vive, è necessario e doveroso per smettere di esprimere sterili giudizi e proporre invece fattivi rimedi alla cronicità distorta della storia.

Presuntuosamente sentenziare, senza chiarire quanto accaduto in Italia ma anche in Grecia e Spagna nel rapporto sbagliato fra tradizione e modernità, tra cultura e politica nell’assenza di una geopolitica euro mediterranea che guardi ai popoli di questo mare tra le terre, non fa altro che avallare il preconcetto antimeridionale in senso lato, aumentare le contrapposizioni inutili e demagogiche creando maggiori distanze tra europei.

Ultima domanda: guardandosi intorno cosa prova l’odierno abitante della Magna Greci? Smarrimento? L’avevo scelta come la parola conclusiva del nostro gioco…

Smarrimento sì, perché la polvere sedimentata da tanti anni di impoverimento socio-culturale del meridione, rende i suoi figli naturalmente portatori di un prezioso e raro bagaglio storico culturale ma, al contempo, li fa rancorosi e immemori di tanto pregio, per vivere ed amare visceralmente una terra così grandiosa di smalti e colori, quanto imperfetta nella sua memoria di brillantezza.

E non solo, alla semplificazione e banalizzazione stereotipa dei contenuti socio-culturali del nostro meridione, utile ad una fruizione “pret a porter” delle sue caratteristiche ad uso e consumo di un facile turismo, corrisponde un avvilimento etico estetico che lo snatura.

Di contro, la tecnologia, i nuovi media e il digitale, seppur modelli eccellenti dell’attuale politica economica di debordiana memoria, rappresentano un’importante risorsa di sviluppo e opportunità di ampliamento di conoscenza. In questo senso sin da giovane ho lavorato, nel costante tentativo di decostruire immagini stereotipe e auto-rappresentazioni omologanti, volendo fortemente coniugare arte e tecnologie, così da poter avvicinare autenticamente l’anima dei luoghi in maniera “semplice” e attraente, restituendo alle persone e alla comunità la propria dignità di soggetti protagonisti della storia.

Ammirando l’arte greca, qui ad Atene come a Reggio e in giro per il mondo, si intuisce la linea costante di un pensiero ancor oggi profondo e attuale di quella che fu la visione più rapida della realtà, il contatto più semplice con l’armonia divina delle cose, di un’arte scolpita nelle nostre anime contro l’irrisione dei barbari antichi e moderni, offrendoci possibilità di vittoria e rigenerazione.