UNA STORIA MARCHIGIANA

Una storia marchigiana, che si intreccia con territori lontani, le Marche dolce e ondulata, che raggiunge – con l’eco della sua musica – la lontana e aspra Calabria.

Siamo a Castelfidardo, alla fine dell’Ottocento: già famosa per le sue meravigliose fisarmoniche, che venivano vendute in tutta Italia, soprattutto al sud, perché le altre due città dove altri artigiani, anzi artisti costruivano strumenti dal suono magico, li trovavi a Biella e Vercelli. Troppo lontano per un paesello della Calabria quasi in fondo allo stivale, in collina, dove le case erano di gesso, abbarbicate ai pendi, verdeggianti durante la stagione più mite, riarse durante la stagione calda, che riflettevano la luce fino al calar del sole, quando finalmente arrivava un po’ di sollievo.

Mia nonna, la mamma di mamma, Jole Massi nacque proprio a Castelfidardo il 26 aprile 1882, figlia di Cesare Massi e di Evangelina Pompei, come risulta da una sbiadita fotocopia della carta d’identità rilasciatale dal Comune di Pavia, dove abitò con mia madre e mia zia Annamaria negli ultimi anni della sua vita, in Via Morazzone 3.

Una fotografia della “Fotografie Umbre” di Vittorio Angelici, storico fotografo di Terni, la ritrae bambina in costume tipico. Si erano trasferiti dalle Marche verso l’interno, in Umbria? Non sappiamo.

Peccato non poterla vedere bene, Jole: la fotografia è sfocata e manda solo deboli segnali dal passato. Quelli di una bambina fortunata, di famiglia benestante, che l’appoggiò nella sua passione per la musica, forse trasmessale dal nonno, Maestro di Camera, cioè direttore d’orchestra, in quel di Bari.

Il padre Cesare Massi era – ce lo chiediamo – uno di quegli importanti esponenti politici di Castelfidardo che fecero parte del comitato promotore del monumento, che ancora oggi ricorda la famosa battaglia? Noi pensiamo di sì.

In realtà, abbiamo poche notizie precise.

Immaginiamo che Jole abbia preso lezioni di pianoforte e di violino, lo strumento in cui eccelse, che la fisarmonica, invece, la suonò d’istinto, ascoltandone le sonorità e facendo volare le dita sui tasti e abbracciando e riabbracciando lo strumento, che suo padre le regalò, il più bello, dell’artigiano migliore.

Jole, poi, è andata a studiare all’Accademia di Santa Cecilia a Roma. Ragazzina sola in un collegio oppure ospite di qualche parente?

Di certo aveva grande talento e un amore sviscerato per la musica e il violino, tanto che si fece notare e diventò primo violino dell’Orchestra di Santa Cecilia. Fece in tempo a esibirsi nel Teatro Augusteo in Campo Marzio, sede stabile dell’Orchestra dal 1908, oppure il futuro marito, Arturo, venuto al nord dalla Puglia, l’aveva già notata e organizzò prima di quell’anno la fujtina per poterla sposare?

Fujitina, perché la famiglia di Jole non voleva quell’uomo che sembrava un parvenu, una persona inaffidabile. Non sapevano quanto il tempo avrebbe dato loro ragione. Ma Jole si illuse e si abbandonò al sentimento che le allargò il cuore, dalla musica all’amore coniugale e poi l’amore per i figli, che furono due coppie di gemelli e una femmina senza gemello, mia madre Imelda.

Non sarebbe stata una unione felice. Jole si rifugiò nella musica ma, per volere del marito o per rinuncia spontanea, non suonò più in orchestra, nei teatri.

Certo glielo impedì la nascita dei primi due gemelli nel 1913 e anche – poco dopo – lo scoppio della Prima Guerra Mondiale che la vide, con il marito al fronte, sulle rive del Lago Maggiore, in un paesino sopra Verbania dove, nel 1919, nacque la terza figlia, mia madre.

Dopo il congedo dal fronte, Arturo fu chiamato a Novara a capo dei fasci di combattimento, una posizione importante, l’automobile che lo passava a prendere, prebende e potere. Finché non cadde in disgrazia perché contrario alla trasformazione dei fasci da movimento in partito.

Nel 1921 era nata la seconda coppia di gemelli, Tina e Giunio, ma con il marito inaffidabile e politicamente compromesso la china discendente della famiglia accelerò fino all’epilogo, che vide il marito inseguire un sogno d’amore altrove, lasciando Jole sola con cinque figli.

Si ingegnò, diede lezioni di violino, e alternava, lei di temperamento così sensibile, un’altalena di sentimenti, spesso melodrammatici, in un carattere che perdeva sempre più la sua leggerezza e allegria, suo tratto distintivo, come avrebbero ricordato i figli.

Per loro continuò a suonare per allietarli in tempi ben poco lieti. Il trillo del diavolo di Tartini era il suo cavallo di battaglia, ma anche Habanera di Pablo de Sarasate.

Negli ultimi anni si trasferì a Pavia, prima in un’antica casa con i mattoni rossi a vista, poi in Via Morazzone al n. 3. Proprio di fronte, dopo il 12 settembre 1943 i tedeschi occuparono una tipografia, dove stampavano i loro documenti, lasciapassare, proclami da affiggere sui muri della città.

Ma i tipografi fiancheggiavano i partigiani e, senza che i nazisti che ne accorgessero mai, stampavano materiale di propaganda, il giornale Il Ribelle, documenti di identità falsi.

Un pomeriggio, tornando a casa dal lavoro, Annamaria, la sorella di mia madre, riconobbe in un ragazzo moro che entrava in quei locali, il dottor Giulio Perri, che era interno al Policlinico e che incrociava nei corridoi, dove aveva trovato un posto da dattilografa. Si salutarono, una parola tira l’altra, si compresero: uniti nella lotta contro i fascisti e i nazisti, stanchi della guerra e della fame.

Tina, così la chiamavano tutti, iniziò a distribuire materiale di propaganda, impararono a fidarsi l’uno dell’altra, e una sera lei lo invitò a casa loro ad ascoltare Radio Londra.

Fu così che Giulio, figlio dello scrittore calabrese Francesco Perri, trasferito al Nord nel 1908, conobbe Imelda, la sua futura sposa, e la signora Jole, per la quale sviluppò una grande simpatia.

Parlavano tanto, lei gli raccontava, stupita di dare tanta confidenza a un giovanotto che conosceva poco, la sua vita, i posti che aveva visto, della sua musica. E delle Marche, da dove era partita tanti anni prima, senza tornare.

Gli raccontava della fisarmonica di Castelfidardo, che i suoi genitori le avevano regalato ancora bambina e che amava così tanto suonare: “Ascolta, Giulio!”

A sentire quel suono a Giulio venne in mente che suo padre gli raccontava che il nonno, sensale del paese e organista della chiesa, con le sue poche nozioni di musica aveva voluto imparare a suonare la fisarmonica e se l’era fatta mandare proprio da Castelfidardo, tramite i predicatori che giravano per i paesi, cui affidò la sua richiesta scritta, che era tra i pochi in zona a sapere leggere e scrivere. Aveva aspettato ansioso per mesi, ma finalmente era arrivata e in poco tempo Vincenzo imparò a suonare e accompagnava i balli tradizionali che venivano organizzati per i matrimoni, i battesimi, per la festa di inizio estate.

Mentre pensava, la musica si interruppe. Jole, posata con delicatezza la fisarmonica, iniziò a raccontare ancora una volta della sua terra perduta, morbida, musicale.

A Giulio sembrò che, in fondo, il suo sentire non era diverso dall’amore di suo padre per la Calabria, che si riaffacciava con forza nei suoi scritti.

Una sera le portò l’ultima copia che gli era rimasta del romanzo di suo padre “Emigranti”, che conteneva, quasi a mò di spiegazione della storia principale, descrizioni di paesaggi stupendi, significativi ed evocativi.

Jole si commosse del suo pensiero per lei e, di sera, al lume a olio, che l’elettricità non c’era dopo i bombardamenti di quella guerra maledetta, si beava di quelle pagine. Fu su quelle note in prosa che si addormentò per l’ultima volta, nel 1944, pianta dai figli e da Giulio, che aveva sperato di poterle far conoscere il padre Francesco.

Ma c’era una guerra da combattere, la libertà da riconquistare e la malattia di lei, che Giulio da buon medico aveva intuito, che separò i loro destini.

Una grande donna, un’artista, come un grande artista era Francesco Perri: peccato che le loro armonie non si siano incontrate.

Ma come Francesco Perri ci ha lasciato i suoi scritti, Jole Massi ci ha lasciato un esempio, una storia importante. Una storia marchigiana.

La Calabria e le Marche, asprezza e dolcezza, bellezza – sempre.

Un condensato di quello che è la vita.

Giulia Perri

Il Centro Studi Francesco Perri divulga e studia la figura di Francesco Perri, giornalista, scrittore, narratore, personaggio politico coraggioso e coerente, attraverso i suoi romanzi, gli scritti giornalistici e di prosa, le sue novelle, i romanzi per ragazzi. La nostra convinzione è che la storia non è solo passato, ma un modo di comprendere l’oggi. E di scoprire storie intrecciate, significati delicati di persone dimenticate ma che – con le parole – tornano in vita, vicine a noi.

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